Dedicato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il “Museo Falcone-Borsellino” è stato realizzato nel Palazzo di Giustizia di Palermo dalla Giunta distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo.
Lo spazio ha l’obiettivo di realizzare un luogo di memoria permanente indirizzato non solo agli addetti ai lavori, ma all’intera collettività ed in particolare alle giovani generazioni.
Visite al Museo
Le visite al Museo, normalmente aperto da lunedì a venerdì nelle mattine, sono gratuite ma solo dietro prenotazione.
Per informazioni scrivere a info@progettolegalita.it – 340 8777888
Il Presidente della Repubblica in visita al Bunkerino
Sergio Mattarella, già fratello di Piersanti (ucciso dalla mia) ha visitato il bunkerino in occasione del 30° anniversario dell’uccisione del giudice Rosario Livatino.
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È possibile conoscere la storia e le storie del Bunkerino iniziando una visita virtuale attraverso questi video racconti
Matteo Frasca, Presidente Corte d’Appello di Palermo, già Presidente dell’ANM Palermo
Determinante per la sua realizzazione è stato il contributo di Giovanni Paparcuri, straordinario collaboratore dei due Magistrati ed “inventore” della informatizzazione, all’epoca rivoluzionaria del maxiprocesso, scampato miracolosamente all’attentato del 29 luglio 1983 in Via Pipitone Federico a Palermo, nel quale persero la vita il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, il Maresciallo Trapassi e l’appuntato Bartolotta dei Carabinieri, nonché il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi.
Proprio dopo la “strage Chinnici” maturò la consapevolezza dell’estrema esposizione a pericolo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino i quali già da alcuni anni si occupavano di delicatissimi processi a carico di appartenenti a Cosa Nostra, espletando le loro funzioni in uffici ubicati al piano terra del Palazzo di Giustizia facilmente accessibili a chiunque.
Per tale ragione venne deciso il loro trasferimento in un’area più riservata del Palazzo e vennero individuati, a tal fine, i locali del c.d. Bunkerino (in cui oggi si trova il Museo), ove continuarono per alcuni anni il loro lavoro, potendo fruire di una maggiore riservatezza e di qualche misura di protezione, come la porta blindata e le telecamere che consentivano di vedere dalla stanza di Giovanni chi intendeva accedere ai locali.